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Storie di Castagne e di Maremma

Facciamo un gioco. Come quello dei bambini, sulla spiaggia o negli scuolabus, quando il viaggio è lungo e troppo, troppo noioso.

Vi dico una parola. Ne dite un’altra che vi viene in mente. Subito, senza ragionamenti compositi e strutturati.

Ecco, la parola è Autunno.

L’autunno in Maremma, quando il freddo diventa pungente, le nuvole si addensano basse sopra le colline puntellate dai piccoli paesini – come gioielli custoditi in scrigni segreti – e si incontrano con la nebbia che sale dalle vallate. Qualche volta piove. E tira giù come dal cielo un grande tappeto variopinto: le foglie che cangiano dal giallo all’arancio del testucchio (l’acero campestre), quelle gialle e porpora degli ornelli (fraxinus ornus), le foglie giallo oro dei castagni..

Ecco cosa viene in mente. In un attimo l’autunno richiama alla mente questa immagine e la parola da pronunciare non sarà altro se non Castagna.

Le castagne buonissime. Ballotte, bollite in acqua e sale insieme al finocchio selvatico, oppure cotte nelle padelle forate di antica origine, con i loro nomi : caldarroste, ma anche castrate, brice, bruciate….

Le castagne, in Maremma, si usano per preparare dolci, marmellate e confetture. Le castagne secche servono, invece, per ricavarne la farina con cui poi si prepara il castagnaccio e la polenta di castagne, oppure si mangiano alle feste, acquistate nei banchetti delle leccornie, in estate.

E allora, se continuiamo il nostro gioco, non può non venire in mente subito, un’altra parola, che è più di una parola: i nonni. Che insieme a noi, intorno alla tavola, castravano le castagne con un taglietto deciso, necessario per non farle scoppiare quando, nel caminetto, con la padella bucata, il fuoco le avvolte per tramutarle in “caldarroste”. I nonni che le cuocevano nel caminetto, mentre noi, ancora bambini, ci spaventavamo per gli scoppi di quelle mal castrate.

Lo scricchiolio delle caldarroste dentro il panno, a fine cottura, per facilitare la fuoriuscita del frutto buono dalla buccia e anche un po’ per ripetere , come in un gesto sacro, quella tradizione antica, è qualcosa di ineguagliabile nella memoria dei tempi andati.

Così come la distribuzione, in parti uguale delle castagne, una a testa, via via, finché non finivano: gesti antichi di chi, nei duri autunni contadini, ringraziava il cielo per potersi nutrire con le castagne.

E infine, quando finalmente, si poteva iniziare a sbucciare, e le dita inesperte si cimentavano con la buccia che le macchiava di nera fuliggine… i nonni facevano aprire il pugno delle piccole mani e regalavano castagne sbucciate, grandi, calde.. solo da magiare.

Questo è quello che racchiude il riccio, insieme alla castagna, per noi gente di Maremma.

Questo testo è un’opera originale a cura di Elisabetta Tollapi

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